Un lavoratore è stato assunto con un contratto a tempo determinato che prevedeva un periodo di prova di un mese. Tuttavia, il 6 luglio 2020, il lavoratore ha iniziato a soffrire di una malattia comune (sintomatologia ansioso-depressiva) che ha portato a un’invalidità temporanea. Il 9 luglio 2020, l’azienda ha comunicato per iscritto al lavoratore la risoluzione del suo contratto di lavoro in quanto non aveva superato il periodo di prova.
Prima della sua assunzione, il servizio di prevenzione dei rischi professionali incaricato dall’azienda aveva emesso un parere che dichiarava il lavoratore idoneo alla mansione. Inoltre, il contratto collettivo applicabile prevede che le situazioni di invalidità temporanea, maternità, adozione o affidamento che interessano il lavoratore durante il periodo di prova interrompano la durata dello stesso.
Il lavoratore ritiene che la vera causa del suo licenziamento sia stato il timore che la sua situazione di invalidità temporanea si prolungasse nel tempo e ha presentato un ricorso per licenziamento. Quando il licenziamento è stato respinto in prima istanza, ha impugnato la sentenza presentando ricorso.
La questione che si pone, dunque, consiste nel determinare se i diritti fondamentali del lavoratore, in particolare la sua integrità fisica, siano stati violati e, quindi, se il licenziamento debba essere considerato nullo.
Violazione del diritto fondamentale all’integrità fisica
Nella sua sentenza del 24 gennaio 2023, l’Alta Corte di Giustizia delle Isole Baleari ricorda che la giurisprudenza dell’Alta Corte ha compreso, in diverse occasioni, che il licenziamento di un lavoratore in una situazione di invalidità temporanea può costituire una violazione del diritto fondamentale all’integrità fisica, se si ritiene che – anche solo potenzialmente – tale licenziamento abbia un impatto sul diritto alla salute. Nel caso in questione:
a) Il lavoratore sostiene di aver subito pressioni prima della cessazione del suo contratto in diverse occasioni. Queste affermazioni sono supportate dal fatto che il lavoro doveva terminare nel settembre 2020. Poiché la sua posizione di capocantiere era essenziale, il suo congedo obbligava l’azienda a trovare un sostituto il prima possibile. Ciò porta l’Alta Corte di Giustizia a ritenere che la causa del licenziamento sia stata la sua situazione di invalidità temporanea, così come il sospetto che prima del licenziamento abbia subito pressioni per tornare al lavoro.
b) L’azienda non ha rispettato le disposizioni del contratto collettivo che stabilisce l’interruzione del periodo di prova durante l’invalidità temporanea, il cui scopo è evitare licenziamenti come quello avvenuto.
Di conseguenza, si conclude che la decisione dell’azienda di licenziare il lavoratore solo a causa della sua invalidità temporanea e il fatto di averlo sollecitato a ritornare al lavoro è stata un’azione negativa e pregiudizievole. Questa azione è in contrasto con l’esercizio dei diritti costituzionali relativi alla salute e all’accesso alle prestazioni della Sicurezza Sociale. Inoltre, questa decisione viola il diritto fondamentale del lavoratore all’integrità fisica.
Si verifica un’azione o un’omissione da parte dell’azienda che, nell’esercizio dei suoi poteri di direzione e controllo dell’attività lavorativa, potrebbe comportare un rischio o un danno per la salute del lavoratore. Se questa situazione viene trascurata, il suddetto diritto fondamentale sarebbe violato.
Inoltre, si può dire che questa conclusione è rafforzata dal fatto che il legislatore, con l’obiettivo di prevenire situazioni come quella sopra descritta, ha inserito nella legge 15/2022 del 12 luglio sulla parità di trattamento e la non discriminazione, la malattia o lo stato di salute come uno dei motivi di discriminazione vietati, distinti dalla disabilità. Ciò ha dato luogo a un dibattito relativo a se la valutazione della malattia come motivo di discriminazione debba prevedere che la sua guarigione sia imprevedibile o che la sua durata sia prolungata, come è stato sollevato nel caso Daouidi.
Pertanto, il ricorso è stato accolto, dichiarando nullo il licenziamento e obbligando l’azienda a reintegrare il lavoratore e a pagare le retribuzioni corrispondenti fino alla data di cessazione prevista dal contratto, tenendo conto della sua natura temporanea. È importante sottolineare che l’Alta Corte di Giustizia non si è pronunciato sul risarcimento per la violazione del diritto fondamentale all’integrità fisica, in quanto non richiesto nel ricorso.
Fonte: ADN Social