Nell’articolo redatto dagli avvocati Francesco Rotondi e Giulia Leardi, dello studio legale assciato LabLaw, viene trattato un tema interessante relativo al fenomeno dei food delivers e la necessità di una normativa che prenda in considerazione le esigenze delle nuove figure professionali sorte in seguito all’affermarsi di alcune importanti piattaforme online di food delivery.
L’attuale dibattito giuridico che coinvolge l’ormai nota figura lavorativa dei “riders” è tutt’altro che semplice e di pronta soluzione.
Un rider va “dove lo porta l’ordine” ed il suo “datore di lavoro” non è il proprietario di un ristorante, di un fast food o di una pizzeria, ma una piattaforma online di food delivery.
Deliveroo, Glovo, Uber Eats, solo per fare qualche esempio, grazie a questo non più tanto piccolo esercito su due ruote, riescono a garantire consegne 24 ore su 24 di qualsiasi tipo di cibo e si garantiscono un giro di milioni di euro.
Per i riders il confine tra subordinazione ed autonomia sfuma e perde la sua più netta, rigida ed anacronistica caratterizzazione, generando una nuova ibrida “zona grigia” su cui è intervenuta e sta ancora intervenendo la Giurisprudenza che affannosamente, e alle volte in modo contradditorio, tenta di qualificare il lavoro svolto da uno dei simboli della “gig economy”.
Mentre in Spagna (a Valencia Madrid e Barcellona) i riders sono attualmente considerati dai Tribunali come dei lavoratori autonomi, l’Italia – con la sentenza del Tribunale di Torino[1] ha, in un primo momento, definito come autonomi i cinque lavoratori che avevano fatto causa a Foodora, stabilendo che essi non fossero dei dipendenti della società e negando l’esistenza di un rapporto subordinato, in quanto non erano costretti dalla piattaforma digitale a fare le consegne.
Successivamente, la Corte d’Appello di Torino[2] ha ricondotto il loro lavoro alla ibrida figura della cd. “etero-organizzazione” di cui all’art. 2 D.Lgs. 81/2015 [3], appurando che benchè le modalità di svolgimento della prestazione fossero, indubbiamente, organizzate dalla committente quanto ai tempi e ai luoghi di lavoro, in base ad una turnistica stabilita dalla società, su zone di servizio determinate dalla committente, ad indirizzi di consegna comunicati tramite app, con tempi di consegna predeterminati, il rapporto di collaborazione restava tecnicamente e giuridicamente “autonomo”. Cosicché decidendo che, nonostante tale autonomia, per quel che riguarda sicurezza, retribuzione, inquadramento professionale, orario, ferie e previdenza, il rapporto di questi cinque riders con Foodora deve beneficiare delle norme del lavoro subordinato (ex art. 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015) e riconoscendo loro la retribuzione diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del V livello del CCNL Logistica Trasporto Merci, dove sono infatti inquadrati i fattorini addetti alle aziende di consegne.
Tale sentenza, per la verità, non segna alcun passo in avanti, né avrebbe potuto farlo, poiché essa riflette quanto contenuto in una legge già esistente, ma non pensata ed obsoleta in relazione a questo tipo di attività.
Il tentativo classificatorio effettuato dalla Giurisprudenza italiana lascia il tempo che trova e l’unica vera soluzione auspicabile deve essere una nuova normativa che sia al passo con queste nuove professioni.
A nulla è valso neppure il tentativo effettuato dai Sindacati di introdurre la figura del rider nel CCNL (Contratto Collettivo Nazionale Lavoro) Logista e Trasporti, identificandolo e trattandolo come un lavoratore subordinato.
Benché il Parlamento italiano non se ne sia ancora occupato, un tentativo è stato posto in essere dalla Regione Lazio, una delle venti Regioni in cui è suddivisa l’Italia e in cui è collocata la capitale Roma, che con Legge Regionale del 12 aprile 2019, n. 4 ha delineato la prima norma in Italia a tutela, in generale, del cd. “lavoro digitale” (benché sulla stessa si siano scatenate una serie di polemiche e di dubbi sulla sua costituzionalità rispetto ai limiti e ripartizioni di competenza di cui all’art. 117 Costituzione italiana tra la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni).
La Legge Regionale scientemente tralascia di definire qualsivoglia qualificazione giuridica (in termini di autonomia o subordinazione) della fattispecie contrattuale di riferimento per il lavoro digitale, limitandosi ad enunciare uno schema di tutele per i lavoratori ai quali si applicherebbe (in caso di infortunio sul lavoro e malattie professionali, assicurando la formazione in materia di sicurezza, disponendo a carico delle piattaforme l’assicurazione per infortuni, danni a terzi e spese di manutenzione per i mezzi di lavoro, introducendo norme sulla maternità e sulla previdenza sociale, ribadendo il rifiuto del compenso a cottimo, ed infine, introducendo anche un’indennità di prenotazione nel caso in cui il mancato svolgimento dell’attività di servizio non dipenda dalla volontà del lavoratore).
Ad ulteriore dimostrazione dell’attenzione trasversale rivolta al fenomeno del “lavoro digitale”, deve segnalarsi come la norma regionale sia intervenuta solo qualche giorno prima di una ulteriore significativa presa di posizione del Parlamento Europeo che, in data 16 aprile 2019, ha approvato una delibera in vista dell’adozione di una direttiva relativa a “condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea”.
Essa ha stabilito i c.d. “diritti minimi” per tutti i lavoratori dell’Unione che hanno “un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro” quale definito dal diritto di ciascuno Stato membro e caratterizzato da un tempo di lavoro effettivo di durata superiore “a una media di tre ore a settimana in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive”.
In definitiva, occorre al più presto trovare un nuovo contratto di lavoro per l’economia digitale, con cui prendere coscienza dello scenario economico e produttivo del mondo del lavoro di oggi, sforzandosi di comprendere i profondi cambiamenti degli ultimi anni.
Fonte: LABLAW – Avv. Francesco Rotondi, Avv. Giulia Leardi
[1] Sentenza n. 778/2018 pubblicata in data 7 maggio 2018.
[2] Sentenza n. 26/2019 pubblicata in data 11 gennaio 2019.
[3] Art. 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”;